Dopo diversi approfondimenti non agevoli, trattandosi per lo più di sentenze della Cassazione che non centrano il quesito, sono arrivato ad una presunzione che è comunque soggetta "alla decisione per via equitativa" del giudice. Ovvero la soluzione non è univoca.
La legge all'art. 2110 c.c. rimanda alle norme contenute nelle contrattazioni collettive i termini di comporto (periodo massimo per il mantenimento del posto di lavoro) dopo assenze dovute a malattia, infortunio, gravidanza, puerperio. E' assodato che il periodo di comporto sia da conteggiarsi oltre che in relazione a un unico episodio (comporto secco), anche a più episodi (comporto per sommatoria). La ratio della legge è da ricercarsi nel verificarsi di situazioni in cui il sinallagma viene a mancare: le reciproche prestazioni contrattuali non possono essere rispettate e il loro protrarsi comporta dei danni di natura economica, organizzativa.....(anche detto scarso rendimento). Pertanto sembrerebbe potersi ritenere che: qualunque sia la causa a monte delle assenze, quando queste procurano un danno oggettivo rilevante per il datore di lavoro, è ammessa la risoluzione del contratto. Altrove (sentenze varie di Cassazione) si specifica comunque che è il contratto collettivo a dover essere interpretato sul punto e dovrebbe riuscire chi lo applica, ad estrapolare la reale intenzione delle parti per comprendere se vi sia stata nelle determinazioni e nella prassi concludente, la volontà di comporre il comporto per sommatoria dei periodi di malattia con quelli di infortunio oppure no. Nel caso dei contratti collettivi con le badanti non è per nulla semplice. Troviamo l'art. 26 che disciplina la malattia e l'art. 28 che disciplina l'infortunio. Separati, strutturati in maniera identica, uguali persino numericamente portano a ritenere che siano indipendenti l'uno dall'altro in tutto e per tutto e che i due istituti (INAIL E INPS) siano da considerare separatamente. Averne certezza è tuttavia improbabile. Direi che sia e rimanga LA VALENZA OGGETTIVA dell'evento riportata dalla ratio della legge a dover essere considerata. A nulla rilevando che siano due o più istituti diversi a procedere all'indennizzo del lavoratore a seconda del caso che occupi. Un episodio infortunistico o di malattia professionale, che non sia imputabile al datore di lavoro (nel qual caso nemmeno il comporto va conteggiato) non è raro che venga trasformato dopo un periodo di tempo in malattia o che abbia delle ricadute tali da far ritenere che il contratto di lavoro non possa essere più rispettato dal lavoratore. E' in casi come questo che ritengo (ed anche la Suprema Corte lo ritiene) che infortunio e malattia possano sommarsi ai fini del conteggio del comporto. Difficile è e resta poterlo dimostrare, dato che i normali protocolli inail e inps non riportano le cause al datore di lavoro, ma solo il periodo riconosciuto. Diviene un atto quasi impossibile quello di dimostrare a priori, senza interventi periziali di contenzioso, che infortunio e malattia dipendano da un unico episodio morboso. Non essendoci pertanto possibilità e garanzie tali da permettere la dimostrazione che si tratti di un contesto di continuum tra infortunio e malattia, non resta che adire la via più garantista considerando i due periodi di comporto separati e indipendenti. Ciò non mi esime tuttavia dall'invitare le parti sociali almeno all'occasione del prossimo accordo collettivo, a ribilanciare queste delicate situazioni nell'interesse di tutti. (p.s. Quando affermo che è interesse di tutti, intendo dire tra l'altro che possono verificarsi situazioni in cui, dopo un infortunio o una malattia, il lavoratore non sia più idoneo alla mansione e al di là della questione economica diventa un DOVERE riconoscere l'inabilità e non permettere che egli continui a prestare servizio potendo con ciò aggravare la propria situazione di salute. Interesse primario che va ben oltre quello lavorativo.)